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Parole della domenica, alla Scala torna in vigore il dress code, anche al Tettuccio dovrebbero essere rispettate le regole previste

Parole della domenica, alla Scala torna in vigore il dress code, anche al Tettuccio dovrebbero essere rispettate le regole previste

Al Teatro alla Scala tornano in primo piano le regole di educazione: chi si presenta in canottiera, pantaloncini corti o infradito rischia di restare fuori, anche se ha acquistato regolarmente il biglietto.  Le norme sul dress code, da sempre in vigore ma spesso ignorate negli ultimi anni, sono ora ben visibili attraverso nuovi cartelli informativi posizionati all’ingresso. E il messaggio è chiaro: decoro prima di tutto.
«La Direzione invita il pubblico a scegliere un abbigliamento consono al decoro del Teatro, nel rispetto del Teatro stesso e degli altri spettatori», si legge sul sito ufficiale della Scala. Il regolamento precisa che chi indossa abiti considerati non adeguati – come canottiere o bermuda – non sarà ammesso in sala e non potrà ottenere alcun rimborso.
Un cartello esiste anche all’ingresso dello stabilimento Tettuccio, dove però – ormai da anni – si chiude un occhio (forse meglio dire si chiudono i due occhi) sull’abbigliamento dei clienti. Il cartello dice: “L’ingresso allo stabilimento è consentito solo con abbigliamento adeguato all’ambiente.” Fare entrare persone in stile mare vuol dire accettare tutto quello che passa il convento. Montecatini riconosciuta dall’Unesco dovrebbe distinguersi per educazione ed eleganza. Se “l’abbigliamento adeguato all’ambiente” è canottiera ed infradito, ci declassiamo da soli.

Come ogni settimana, ho cercato nel web e sui giornali altre storie per chi voglia leggere ma soprattutto per chi voglia riflettere.
Buona lettura a tutti quelli che ci seguono

(a cura di Mauro Lubrani)

Firenze travolta dall’overtourism

Firenze è travolta dall’overtourism: nel 2024 ha toccato i 15 milioni di presenze, con gravi conseguenze per residenti, mercato immobiliare e vivibilità. Mentre il centro storico si trasforma in un enorme hotel a cielo aperto, il Comune ha introdotto misure per rendere il turismo più sostenibile. Ma secondo molti cittadini, come l’attivista Massimo Torelli, senza controlli concreti queste regole rischiano di restare lettera morta.
Cappello in testa, ombrellino per proteggersi dal sole e telefono in mano alla costante ricerca del selfie perfetto. A Firenze ci sono più turisti che residenti e la città sta subendo una trasformazione profonda e pericolosa. Il 2024 è stato l’anno che ha fatto segnare il record delle presenze turistiche, circa 15 milioni, e il trend non accenna a diminuire, in un’ascesa che è diventata inarrestabile dal post Pandemia. “Questa città – spiega Massimo Torelli, attivista impegnato nella battaglia contro l’overtourism e responsabile del progetto ‘Salviamo Firenze’ – è calibrata per ospitare 300/350 mila persone. Ogni giorno ne regge 450/500 mila. La stiamo distruggendo e nessuno fa niente per salvarla”.
Torelli ricorda di essersi reso conto della pericolosità del turismo selvaggio durante il lockdown. “Passeggiavo sul Lungarno e mi resi conto che pochissime case erano abitate. Firenze si stava già trasformando in un grosso albergo e non ce n’eravamo accorti”. La crescita smisurata di presenze turistiche in città (+34 % tra il 2022 e il 2024) ha dato il via a un meccanismo speculativo difficile da estirpare. “In parole povere – spiega Torelli – questo flusso turistico esorbitante ha alcune conseguenze principali: i servizi per i residenti vengono sostituiti da quelli per il turista, il mercato immobiliare di compravendita viene completamente dirottato sugli affitti turistici e i prezzi salgono alle stelle. Così tutti si sentono giustificati a vendere una focaccia a sette euro e ad affittare una cantina a duemila euro al mese”.
Benedetta Macchini – SkyTG24, 12 luglio 2024

L’uomo che sussurrava ai fili d’erba

Teneva un diario su quel paradiso dell’erba. Anzi per lui era l’erba del paradiso. Soprattutto quella del campo centrale. Era la sua magnifica ossessione. Passava moltissimo tempo a guardare i settecentottanta metri quadrati di prato, il migliore al mondo. Ci camminava sopra a lungo, avanti e indietro. Ogni tanto si metteva a quattro zampe e avanzava carponi, per osservare da vicino la crescita. Accarezzava il prato, gli dava dei buffetti e si metteva in ascolto del suono, perché l’acustica ha la sua importanza e lui sapeva riconoscere quella di un manto perfetto. Viveva da mistico e diceva: «Ogni filo d’erba è un individuo». Quel lawn gli procurava un’emozione intima, per questo ogni sera pregava e chiedeva clemenza e piedi fatati. Invocava la pioggia, ma solo a partire dalle 10,30 di sera, e il sole quando i campi rischiavano di inzupparsi troppo. Si chiamava Robert Twynam, forse il nome non vi dirà niente, ma a Church Road era considerato un mago. L’avevano soprannominato: l’uomo che sussurra ai fili d’erba. Per quasi mezzo secolo è stato il giardiniere capo, head groundskeeper, di Wimbledon. Lo scrittore e giornalista americano John McPhee lo rese famoso nel ’68 con un lungo articolo sul New Yorker (voi ce la vedete un’importante rivista culturale italiana a occuparsi di un campo da gioco?) poi diventato un libro, Tennis (Adelphi, 2013). 
Twynam era come un medico legale, riconosceva i colpi che avevano ucciso l’erba e reciso la sua vita.  Analizzava le ferite e divideva i giocatori in tre tipologie, in base ai segni che lasciavano con le loro scarpe. Gli Strusci, quei soggetti preoccupanti che nella prima fase del servizio spostano il piede posteriore fino a riunirlo con quello avanti prima dell’esplosione verso l’alto, un’azione che a lungo andare lascia i solchi. Tipo Jean Borotra e Jaroslav Drobny. I Pattini, quelli che arrivano sulla palla scivolando per più di un metro, veri e propri eretici. Infine le Zappe, quelli che nei momenti d’ira usano la racchetta come un’ascia. Erano pochi, secondo Twynam, i giocatori eletti che sembravano volare sull’erba, tra questi Rosewall, Emerson e Kramer.  
Emanuela Audisio – S-Print/La Repubblica, 12 luglio 2025

La mappa dell’opera: le serate imperdibili

E’ in scena fino al 17 luglio al Caracalla Festival a Roma, West Side Story diretta da Michele Mariotti con regia di Damiano Michieletto, che ha risolto l’incontro tra Tony e Maria cacciandoli in piscina con trampolino al posto del balcone. Gli altri titoli sono: Don Giovanni (20-25 luglio), La Traviata (19 luglio-3 agosto) e due coreografie: Bolero di Maurice Bejart e Le Sacre du printemps di Pina Bausch (entrambi il 30-31 luglio). 
Anche all’Arena di Verona gli spettacoli sono già iniziati. Qui, la «mano» è quella del regista Stefano Poda con le sue luminose tecnoscene: sino al 5 agosto è in scena Nabucco con Francesco Meli e Luca Salsi. La Traviata, da stasera sino al 2 agosto, è nella storica regia di Hugo De Ana, protagoniste la direttrice, Speranza Scappucci, e Violetta, Rosa Feola. Carmen, da domani, resta sino al 3 agosto con i colori e i profumi di Siviglia nell’intramontabile regia-kolossal di Zeffirelli: Don José cambia ogni sera. Chiude la Aida di cristallo di Poda (da domenica sera al 4 settembre).
Al Festival pucciniano di Torre del Lago protagonista è il giornalista e conduttore tv Alfonso Signorini, esperto e pettegolo proprio come uno dei Fratelli di Arbasino. Firma due regie: quella di apertura, Tosca il 18 luglio (fino al 29 agosto), e quella di Turandot (dal 25 luglio al 5 settembre). In entrambe i cast sono molto variabili. La Bohème (dal 19 luglio), riprende la regia di Ettore Scola: Mimì sarà Nino Machaidze e Rodolfo Vittorio Grigolo. Maria Agresta sarà Cio-Cio-San dall’8 agosto e Maria José Siri sarà Manon Lescaut dal 30 agosto con storiche scene di Igor Mitoraj.
Da 51 anni, a Martinafranca (Taranto), si svolge il Festival della Valle d’Itria che si è imposto per scelte coraggiose. Il 18 luglio abbiamo Tancredi di Gioachino Rossini (direttore Sesto Quatrini, regia Andrea Bernard) e il 21, nel centenario della composizione, L’enfant et les sortilèges di Maurice Ravel, un inno al tempo dell’infanzia su testo che Colette scrisse per la figlia (direttore Myriam Farina, regia Rita Cosentino).  
Il Festival dei Due mondi di Spoleto, che si chiude domenica 13, ha ospitato Hadrian con la direzione di Johannes Debus. Il Macerata Opera Festival si inaugura il 18 con La vedova allegra (repliche sino al 9 agosto), per la prima volta allo Sferisterio, e seguirà Rigoletto dal 19 all’8 agosto.
La 46ª edizione del Rossini Opera Festival di Pesaro apre all’opera il 10 agosto con Zelmira, dramma per musica di Andrea Leone Tottola in teoria ambientato sull’isola di Lesbo, ma qui con regia dello spiazzante Calixto Bieito (sopra durante le prove, foto di Amati Bacciardi). Poi L’Italiana in Algeri (dal 12 agosto) diretta da Dmitry Korchak e regia della pesarese doc Rosetta Cucchi.
Pierluigi Panza – La lettura / Corriere della Sera, 11 luglio 2025

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