Le “Parole della domenica” per riflettere: un pensiero speciale alla bimba uccisa per due pappagallini
Ho tolto dal titolo di questa rubrica le parole “ai tempi del virus”. Non perché il virus non esista più (continuano a parlare ancora contagi e morti) ma per dare un segnale di speranza in un periodo in cui la maggior parte delle persone vorrebbe alleggerire i pensieri.
Le parole di questa domenica si occupano di vicende avvenute in Italia e nel resto del mondo
Il nostro viaggio continua con articoli cercati e trovati nel web e nei giornali. Per riflettere appunto.
Buona domenica.
(a cura di Mauro Lubrani)
ZOHRA SHAH UCCISA PER DUE PAPPAGALLINI
Quattro mesi fa aveva lasciato la città di Kot Addu, nella provincia del Punjab, dove viveva con la sua famiglia molto povera. Aveva solo otto anni, ma Zohra Shah doveva già pensare a guadagnare qualcosa e così era finita a fare la domestica nella casa di una ricca famiglia a Rawalpindi, in Pakistan, dove era stata assunta dalla coppia per prendersi cura del loro bambino di un anno. I datori di lavoro le avevano promesso che in cambio avrebbero provveduto alla sua istruzione.
Ma in quella casa ha trovato la morte per aver liberato due pappagalli dalla gabbia. Alcuni media locali parlano di un fatto accidentale avvenuto mentre stava dando loro da mangiare, altri come gesto di sensibilità per quei due uccelli detenuti in una gabbia e privati della loro libertà. La verità forse non si saprà mai, ma di certo non interessava ai suoi due datori di lavoro che hanno dato sfogo alla loro rabbia picchiandola e torturandola a morte.
PROCESSO AL LOCKDOWN
Colpisce questo titolo di un giornale ‘Italia in stallo, processo al lockdown’. Non certo perché l Italia non sia in stallo. Ma voler processare il lockdown che. secondo una opinione diffusa fra gli addetti ai lavori ha salvato migliaia di vite umane sembra francamente una assurdità. Nel sommarino del titolo in questione si parla di perplessità da parte degli economisti. Legittime come legittimo titolare come pare e piace ma a conferma, ove c’è ne fosse bisogno, che dopo la grande paura adesso va di moda la grande rimozione. Il virus? pura invenzione (e a dirlo non è solo un ex generale purtroppo dei carabinieri) o giù di lì. Il lockdown? ` ” un errore, un mezzo golpe una opera di distrazione di massa. E altro ancora. Medici e infermieri sono già un po meno eroi, la riapertura è avvenuta troppo tardi. anzi non si doveva chiudere. Pensavo che gli italiani avessero la memoria corta. Adesso pare che non l ‘abbiamo per niente. Ultima annotazione, il giornale del citato titolo pubblica anche le dichiarazioni di un virologo riassunte in prima pagina con questo secondo titolo ‘ Basta con il terrore. Dite la verità ‘ Peccato che nella intervista non si parli di terrore ma si chieda sol o chiarezza sui dati ufficiali che, spiega il virologo, presentano lacune, come denunciato Dalla Accademia dei Lincei. E il terrore? E i terroristi?
Pierandrea Vanni – giornalista e sindaco di Sorano
(dal post su Facebook del 8 Giugno 2020)
TEMPI DURI PER CRISTOFORO COLOMBO
La protesta negli Stati Uniti prende di mira anche i monumenti considerati razzisti. A Boston è stata decapitata la statua di Cristoforo Colombo. Il sindaco di Boston, Mary Walsh ha deciso di far rimuovere la statua, custodirla in deposito.
Anche in Virginia un monumento che ricorda lo scopritore dell’America è stata divelta e buttata nel lago. Poi si sono dedicati al piedistallo, imbrattandolo con lo slogan: «Questa è la terra dei Powhatan», la popolazione dei nativi in Virginia. Oppure: «Colombo rappresenta il genocidio».
da “Il Corriere della Sera” del 11 Giugno 2020
MA ANCHE LA STATUA DI MONTANELLI A MILANO RISCHIA
Non lo scriviamo perché Indro Montanelli è un vanto di Milano, la città che amava e per la quale ha versato — letteralmente — il sangue (l’attentato delle Brigate Rosse nel 1977, cui seguì il perdono agli attentatori). Non lo scriviamo perché Montanelli è una gloria del Corriere della Sera , dov’è tornato nel 1995, dopo aver fondato e diretto il Giornale per vent’anni. Non lo scriviamo perché Montanelli ha insegnato il mestiere a tanti di noi, e ci ha voluto bene.
Lo scriviamo perché l’uomo e il professionista non meritano un affronto del genere; e non lo meritano Milano, l’Italia e gli italiani, già provati da mesi drammatici. Abbattere la statua di un dittatore può essere un gesto liberatorio; rimuovere la statua di un giornalista libero puzza di fanatismo.
L’accusa risale al 1935. Per valutarla, occorre conoscere il contesto. Indro Montanelli — giovane fascista disincantato, speranzoso reporter — parte per il fronte africano. Ha appena compiuto ventisei anni. L’avventura è raccontata in un libro, XX Battaglione Eritreo, che viene recensito in modo lusinghiero da Ugo Ojetti sul Corriere della Sera e apre a Montanelli le porte di via Solferino.
Appena arrivato in Africa, Montanelli aveva accettato di prendere come compagna un’adolescente abissina, secondo la tradizione locale. La ragazzina si chiamava Destà. «Per tutta la guerra, come tutte le mogli dei miei ascari, riuscì ogni quindici o venti giorni a raggiungermi ovunque mi trovassi, in quella terra senza strade né carte topografiche».
Montanelli poi capì l’ingiustizia e l’anacronismo di quel legame; ma non negò, né rimosse, la vicenda. La giovanissima Destà andò poi in sposa a un attendente eritreo, e con lui fece tre figli: il primo lo chiamarono Indro.
Beppe Severgnini – da “Il Corriere della Sera” del 11 Giugno 2020
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