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Le parole della domenica al tempo del virus: viviamo in un tempo sospeso

Le parole della domenica al tempo del virus: viviamo in un tempo sospeso

Il tempo del nostro dolore non si ferma ancora. Davanti non abbiamo prospettive di un prossimo ritorno alla normalità. Non esistono certezze e nessuno può darcele. Viviamo in una sorta di tempo sospeso, a volte si spera di vivere in un sogno, ma non è così.
Continuo a cercare – nel web e fuori – parole che possano darci un segno di speranza e che rasserenino un po’ il nostro cuore. Per chi voglia leggere ma soprattutto per chi voglia riflettere in questa domenica di sofferenza e di paura.
(a cura di Mauro Lubrani)

L’ULTIMO VIAGGIO DI LUIS SEPULVEDA

Il virus ha ucciso anche Luis Sepulveda, il famoso scrittore cileno che da tempo si era rifugiato in Europa. in fuga dal Cile di Pinochet (finito in carcere due volte, era stato liberato grazie ad Amnesty International) e dalle altre dittature del Sudamerica. Esule politico, guerrigliero, ecologista, viaggiatore, ma soprattutto era un grandissimo affabulatore capace di trasformare ogni aspetto della vita sua e altrui in un racconto.

“Viaggiando in lungo e largo per il mondo,
Ho incontrato magnifici sognatori,
uomini e donne che credono
con testardaggine nei sogni. 
Li mantengono, li coltivano,
li condividono, li moltiplicano. 
Io umilmente, a modo mio,
ho fatto lo stesso”


Luis Sepulveda – scrittore (1949-2020)

EPITAFFIO PER I FIGLI DEL ’40

Antonio Scurati

Non esistono destini migliori o peggiori di altri, esistono solo destini. Quello della generazione falciata in queste settimane dal virus merita, esige il nostro compianto, il nostro tributo di dolore collettivo. I parenti delle vittime non devono esser lasciati soli a piangere i loro morti, perché essi sono i nostri morti. Essi sono i compagni di una vita, essi sono i padri della nostra gioventù, essi sono i nonni dell’infanzia dei nostri figli. Tra le decine di migliaia, i più avevano 80 anni. Furono i bimbi del ’40, figli dell’apocalisse, nati nell’ora «segnata dal destino», furono i ragazzi della speranza, gli uomini della ricostruzione, i vecchi della delusione. 

«Se ne vanno — si legge su di un appello che circola in rete — se ne vanno mesti, silenziosi, come magari è stata umile e silenziosa la loro vita, fatta di lavoro, di sacrifici. Se ne va una generazione, quella che ha visto la guerra, ne ha sentito l’odore e le privazioni… Se ne vanno mani indurite dai calli, visi segnati da rughe profonde, mani che hanno spostato macerie, impastato cemento, piegato il ferro, in canottiera e cappello di carta di giornale. Se ne vanno quelli della Lambretta, della Fiat 500, dei primi frigoriferi, della televisione in bianco e nero. Ci lasciano avvolti in un lenzuolo, come Cristo nel sudario, quelli del boom economico che con il sudore hanno ricostruito questa nostra nazione, regalandoci quel benessere di cui abbiamo impunemente approfittato. Se ne va l’esperienza, la comprensione, la pazienza, la resilienza, il rispetto, pregi oramai dimenticati».

Nessuna «fase 2» giungerà davvero se prima non avremo scavato la terra, deposto le bare, protetto il tumulo con fiori da bordura. Ora è il tempo di piangere i nostri morti. Di promettere a noi stessi che i bambini del ’40 non saranno dimenticati. Che la terra vi sia lieve.

Antonio Scurati – scrittore (da Il Corriere della Sera del 15 Aprile 2020)

UN TEMPO PREZIOSO SE SAPREMO VIVERLO BENE

Federico Russo, il frate musicista e scrittore

Abbiamo vissuto una Pasqua senza celebrazioni pubbliche, come probabilmente non accadeva dai tempi dell’imperatore Costantino. Abbiamo visto il Papa pregare in una piazza San Pietro deserta, un’immagine che le prossime generazioni troveranno nei libri di storia. Ci siamo scoperti tutti più fragili, più impauriti. Anche i discepoli di Gesù lo erano, per un motivo diverso, durante quei 50 giorni vissuti in “isolamento sociale”, tra il giorno di Pasqua e la Pentecoste di due millenni fa. Mi sono chiesto spesso perché aspettarono così a lungo prima di uscire fuori ad annunziare la resurrezione del Signore. Negli Atti degli Apostoli Luca ci fa capire che dovevano prima ricevere il dono dello Spirito Santo; trattandosi di un dono interiore, di una trasformazione del cuore, c’era bisogno di tempo: era il tempo necessario a vincere la paura, a elaborare il lutto, a lasciarsi illuminare dalla speranza. Non sappiamo quando e come potremo riacquistare le nostre libertà e la nostra vita sociale. Sappiamo però che il tempo che abbiamo adesso, questo confinamento presente, può essere un tempo prezioso, se sapremo viverlo bene, perché i viaggi più importanti sono quelli che avvengono dentro noi stessi. Ripartire non sarà facile e quello che eravamo prima non basterà, dobbiamo prepararci a essere migliori, più uniti, più generosi, più responsabili. C’è bisogno di un cuore nuovo, direbbe il profeta Ezechiele. C’è bisogno di “portare il fuoco”, direbbe il protagonista di un romanzo di Cormac McCarthy.

Fra Federico Russo – Ordine dei Frati Minori 

LA SCELTA DRAMMATICA TRA VITA E MORTE

Pierandrea Vanni

Sto pensando e ripensando a quanto dichiarato testualmente da una dottoressa milanese impegnata giorno e notte nelle terapie intensive del Fatebenefratelli sulla fase peggiore della emergenza Covid 19 quando i posti non bastavano mai :”e così capitava che dovendo scegliere tra un paziente serrantenne obeso, pieno di complicanze e un altro che poteva farcela sceglievi di intubare il secondo e di lasciare andare il primo”. Uno scenario terribile. Per un momento ho pensato che se fosse capìtato a me jn quella situazione mi avrebbero lasciato andare, ma non è questo. La realtà è che non si dovrebbe mai mettere i medici nelle drammatiche condizioni di scegliere tra la vita e la morte di un paziente che chiede di essere curato. La realtà è che molti non hanno ancora capito quanto sia assassino questo virus, responsabile di una grande strage degli innocenti. Mi spiace, non ne usciremo bene. Ne usciremo. jn tempi non brevi, e con ferite profonde che richiederanno anni per rimarginarsi. Non mi riferisco solo ai tantissimi morti e al dolore delle loro famiglie e al disastro economico e sociale. Penso anche al racconto della dottoressa di Milano che dorme quattro ore per notte e conclude così: “Chi parla di riaprire tutto é matto”.

Pierandrea Vanni – giornalista e sindaco di Sorano

UN VACCINO: IL REGALO DI SABIN AI BAMBINI DEL MONDO

Albert Sabin (1906-1993)

Ora che tutto il mondo è in trepida attesa di un vaccino che sconfigga il coronavirus, ricordiamo che 27 anni fa morì il medico che decise di non brevettare il suo vaccino in modo che tutte le case farmaceutiche potessero produrlo per regalarlo a tutti i bambini del mondo.
Albert Bruce Sabin nacque nel 1906 a Białystok, in Polonia.
Medico e virologo ebreo naturalizzato statunitense famoso per aver scoperto il vaccino contro la Poliomielite, rinunciò ai soldi del brevetto consentendone la diffusione per tutti, anche fra i poveri.
Dal 1959 al 1961 furono vaccinati milioni di bambini dei paesi dell’Est, dell’Asia e dell’Europa: il vaccino antipolio di Sabin fu autorizzato in Italia nel 1963, reso obbligatorio nel 1966, debellando così la malattia dal paese.
Lui disse: 
“Tanti insistevano che brevettassi il vaccino, ma non ho voluto.
È il mio regalo a tutti i bambini del mondo”. 
E questo fu il suo testamento.

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One Comment

  1. Bellissime storie

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