Parole della domenica ai tempi del virus, quando il colore rosso proprio non piace
Da oggi la Toscana è una regione rossa. In pochi giorni è passata dal giallo al livello massimo di attenzione, transitando per il colore arancione. A tradirci sarebbe stato l’indice RT, cioè quello che indica la diffusione del virus, che sarebbe stato addirittura il più alto d’Italia (1,8) anche se riferito alla prima settimana del mese. In genere l’obiettivo è di tenerlo sotto 1. Ecco cosa cambia (leggi l’articolo).
Siamo piombati in una situazione peggiore della primavera scorsa per diffusione del virus, per l’emergenza negli ospedali e soprattutto per vittime. Non è un caso se alla nostra rubrica domenicale abbiamo ridato il titolo con cui iniziammo il dialogo con i lettori nella primavera scorsa.
Da oggi le nuove restrizioni governative creano nuovi problemi alla già fragile economia della nostra città a partire dalla chiusura della gran parte dei negozi e delle attività.
Intanto, anche l’ospedale di Pescia ha aperto ai ricoveri per i pazienti con patologia da Covid19. Dal 12 novembre, infatti, 25 posti letto, ottenuti all’interno del reparto di Medicina interna, sono dedicati al ricovero dei casi Covid19 nonchè a paziente fortemente dubbi dal punto di vista clinico. Il S.S. Cosma e Damiano contribuirà così a rafforzare la rete ospedaliera dell’Azienda Usl Toscana centro in questa seconda fase di emergenza: nella prima l’ospedale della Valdinievole aveva, invece, svolto, un altrettanto ruolo fondamentale e di supporto nella gestione delle altre patologie sia mediche che chirurgiche.
Le nostre parole della domenica – raccolte nel web e nei giornali – ci ricordano anche un calciatore campione del mondo che 40 anni fa scelse Montecatini per la residenza della sua famiglia.
Buona domenica e buona lettura a chi vuole seguirci. Ma soprattutto usiamo tutte le attenzioni per uscire da questo momentaccio.
(a cura di Mauro Lubrani)
DANIEL BERTONI, UN CAMPIONE DEL MONDO “MONTECATINESE”
Non tutti ricordano che 40 anni fa Montecatini aveva tra i suoi cittadini anche un campione del mondo. Infatti, Daniel Bertoni, attaccante della Nazionale argentina campione del mondo (1978) e della Fiorentina, che lo aveva acquistato nel 1980 dal Siviglia, aveva scelto di vivere a Montecatini con la moglie Mabel e il piccolo Jair. La coppia, tra l’altro, era in attesa di un altro figlio.
Bertoni si presentò il 30 Settembre 1980 all’ufficio anagrafe, ricevuto da Silvano Ghilardi, per molti anni funzionario-dirigente dei servizi democrafici del Comune ma anche appassionato dirigente del Montecatini calcio, per richiedere la residenza a Montecatini.
Dopo la firma dei vari documenti, dal mezzogiorno del 30 settembre di 40 anni fa Daniel Bertoni era un “montecatinese” a tutti gli effetti. “Montecatini – affermò per giustificare la scelta – è la città più bella e tranquilla vicino a Firenze. Gli spostamenti per gli allenamenti saranno un divertimento. Forse, potrebbe essere la nostra sistemazione definitiva e chissà che, a fine carriera, non giochi con il Montecatini, visto che ha la stessa maglia dell’Argentina”.
BABBO NATALE, QUEST’ANNO VORREI…
Facciamo i bravi, tutti quanti, e forse passeremo un Natale più sereno. In un anno terribile, costato lutti a non finire e le cui conseguenze pagheremo per anni, in tanti sperano che almeno le festività di fine anno possano allentare i divieti e la tensione dovuta alla pandemia. Ora che la crescita della curva dei contagi comincia a rallentare, anche se siamo a 40 mila nuovi casi al giorno, gli ospedali sono in affanno e il numero delle vittime alto come nel mese di aprile.
da “Repubblica” del 14 novembre 2020
QUELLE MASCHERINE USATE, FOGLIE TOSSICHE D’AUTUNNO
Una decina di giorni fa a Montecatini Terme, intorno alle 18, stavo camminando tra le Panteraie e viale Amendola, per andare alle Poste. Le strade erano deserte e mi ero tolto la mascherina, agganciandola (malamente) al polso. Quando ho visto persone in lontananza e ho deciso di indossarla di nuovo, mi sono accorto che l’avevo persa.
Maledizione.
Primo, mi sono ritrovato improvvisamente sguarnito, senza protezione. Secondo, su un marciapiede, da qualche parte, c’era la mia mascherina Fp2 bianca usata. Avevo contribuito a creare una di quelle scene che io stesso non tollero, quando passeggio nelle nostre città: l’immagine di un degrado materiale e morale, con l’abbandono sul selciato di piccoli oggetti brutti, sporchi e pericolosi in caso di contatto con altre persone.Sono andato a recuperare in macchina un’altra mascherina nuova, poi ho ripercorso compulsivamente i luoghi dove mi sembrava di aver camminato; al buio ho controllato l’asfalto e le aiuole. Giuro. Ma la mia mascherina non l’ho trovata. Ho imparato che quelle immagini che critico tanto, a volte sono frutto di errori involontari più che di abbandoni sprezzanti. Ma credo che i gesti involontari siano la minoranza rispetto a una volontaria trascuratezza. E in ogni caso io ero stato negligente; non c’era dolo ma c’era colpa.
Mi sono sentito un deficiente. Da quel giorno, se devo proprio togliere la mascherina, me la assicuro al polso legandola o, più correttamente, la ripongo in un sacchetto o in un foglio di carta pulita, in tasca. L’idea di aver partecipato a una brutta figura sociale rimane e rimarrà.
Vediamo ogni giorno queste foglie autunnali tossiche e altamente inquinanti. Invece che distaccarsi dagli alberi e svolazzare poeticamente sul pavimento dei nostri passi urbani, scivolano dalle nostre mani distratte o superficiali, frutto non della stagione ma degli schiaffi che rifiliamo sistematicamente al concetto di senso civico. Laura Lezza è una bravissima fotografa; lavora per agenzie internazionali e sa coltivare l’arte del dettaglio e della lettura laterale delle cose. A Livorno ha scattato dodici fotografie belle quanto impietose, di marciapiedi con mascherine sudicie, spiegazzate, calpestate. Per iniziativa di Aamps e Comune di Livorno, questi scatti diventano ora una mostra diffusa, con la vergogna appiccicata su giganteschi cartelloni, in quella che potremmo chiamare legittimamente pubblicità progresso, perché si pone l’obiettivo, forse velleitario ma certo nobile, di sensibilizzare tutti (compreso il direttore del Tirreno) a fare attenzione e a farsi delle domande.
Laura mi ha mandato qualche anteprima su whatsapp: le sue foto sono molto efficaci, direi brutali. A me sembrano delle foto scattate con un drone, solo che raffigurano mezzo metro quadrato e non un promontorio o il corso di un fiume. È il drone della nostra coscienza, silente perché finora probabilmente pensava ad altro. Ora però ci costringe a guardare le nostre schifezze, l’indifferenza odiosa dei nostri gesti. Si dice che l’arte e le mostre funzionino quando fanno pensare. Bene, pensiamoci.
Fabrizio Brancoli – direttore de “Il Tirreno” – 12 novembre 2020
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