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Le parole della domenica al tempo del virus: la dignità del lavoro e il diritto alla salute con la “fase 2”

Le parole della domenica al tempo del virus: la dignità del lavoro e il diritto alla salute con la “fase 2”

Inizia la fase due. Era attesa da tempo per una prima ripresa lavorativa, che porti benefici ad un’economia messa in ginocchio dalla pandemia e speranze di miglioramento per tante famiglie. Ci saranno tante più persone in giro e la raccomandazione è quella di avere grande senso di responsabilità individuale. I timori, infatti, rimangono tanti per il rischio che la libertà riconquistata possa portare ad un aumento di contagi e quindi a nuove chiusure e a rallentamenti verso la “fase 3”.
Oggi ho inserito in questa sorta di “antologia” di parole della domenica argomenti legati al lavoro (il 1° Maggio è appena passato) proprio nell’auspicio dell’imminente ripresa lavorativa del nostro Paese. Argomento coniugato sotto vari aspetti: dalle parole del Presidente Mattarella, alla lettera-appello scritta (da Veronesi) da molti artisti e inviata al Papa; all’odio via Internet contro una giornalista, alla crisi del turismo e perfino al lavoro nel mondo dorato del calcio.
Così, ho continuato a cercare – nel web e fuori – parole che possano darci un segno di speranza e che rasserenino un po’ il nostro cuore. Per chi voglia leggere ma soprattutto per chi voglia riflettere. Buona domenica.
(a cura di Mauro Lubrani)

RICOSTRUIRE L’ITALIA PARTENDO DAL LAVORO

Sergio Mattarella, Presidente della Repubblica Italiana (Foto tratta da quirinale.it)

Viviamo questo Primo maggio con il pensiero all’Italia che vuole costruire il suo domani. Non ci può essere Repubblica senza lavoro, come afferma solennemente il primo articolo della nostra Costituzione.

Il lavoro è stato motore di crescita sociale, economica, nei diritti, in questi settantaquattro anni di Repubblica Perché il lavoro è condizione di libertà, di dignità e di autonomia per le persone. Consente a ciascuno di costruire il proprio futuro e di rendere l’intera comunità più intensamente unita.

Va ribadito con determinazione nella attuale situazione, in cui la diffusione del virus ha colpito duramente il nostro popolo, costringendoci, a un temporaneo congelamento delle attività. In Italia, come in tutto il mondo, le conseguenze della pandemia mettono a rischio tanti posti di lavoro.Risalta ancora di più, in questo contesto, il valore del lavoro e, in particolare l’opera svolta da medici, infermieri, altri operatori sanitari, farmacisti, con tanti fra di loro caduti nello svolgimento dei propri compiti. Il lavoro di Forze dell’Ordine, Forze Armate, operatori del settore della logistica e dei trasporti, della distribuzione, di filiere produttive essenziali, del sistema di istruzione, pur tra molte difficoltà, ha consentito, giorno dopo giorno, al nostro Paese di non fermarsi e di andare avanti, sia pure funzionando a velocità ridotta.

Appare finalmente possibile un graduale superamento delle restrizioni. Ora guardiamo alla ripresa: ad essa, vanno indirizzati, in modo concorde, gli sforzi di tutti, senza distrazioni o negligenze. A cominciare dal consolidamento dei risultati sin qui ottenuti nella lotta al virus, a un equo, efficace e tempestivo sostegno alle famiglie e alle attività produttive, a quanti sono rimasti disoccupati e senza reddito, in modo da conservare intatte tutte le risorse del nostro capitale sociale e da consentire di far sopravvivere e far compiere un salto di qualità alla organizzazione delle imprese e alla offerta di servizi, con scelte avvedute, nella consapevolezza che sono destinate a incidere sulla qualità della vita di ciascuna famiglia, sugli stessi tempi e ritmi della vita quotidiana delle persone.

A partire dal lavoro si deve ridisegnare il modo di essere di un Paese maturo e forte come l’Italia.

Sergio Mattarella – Presidente della Repubblica

GLI ARTISTI SCRIVONO UNA LETTERA AL PAPA

Sandro Veronesi

Caro Francesco,
Santo Padre, ti scrivo per rappresentarti la commozione di tanti miei amici artisti per la preghiera con la quale, lunedì mattina, prima della messa delle sette, li hai rammentati. Ma come? Proprio il Papa ci raccomanda a Dio, dopo che per secoli la Chiesa ha imposto agli artisti la sepoltura fuori dalle mura, cioè fuori dalla terra consacrata, insieme con i suicidi e i non cattolici? Proprio lui si è ricordato di noi, si è preoccupato per noi, ha pregato per noi? Non riuscivano a crederci, capito? Si erano già abituati al fatto che in questo momento nessuno abbia un pensiero per loro, e anzi emerga, come sempre nei tempi di restrizioni, quell’avversione piccolo-borghese nei confronti degli irregolari. 
Ne è nato un gran subbuglio, caro Francesco, perché i miei amici artisti hanno desiderato fin da subito farti toccare la loro gratitudine, e sono per lo più attori, commedianti, parecchio sanguigni e inclini alla teatralità ma anche, purtroppo, quasi tutti pazzi, ignoranti, arruffoni, sfacciati, litigiosi, insolenti, maleducati, viziosi, incapaci di comunicare degnamente un proprio stato d’animo se non per il tramite di un grande poeta che metta loro in bocca, una a una, le parole. Allora diventano delicati, immensi, sublimi — ma stavolta non avevano Shakespeare sotto mano, non avevano Eduardo, Molière, Cechov o Pirandello: avevano solo me, e questa è la ragione per cui tanto indegnamente ti sto scrivendo. Però, anche se ti sto scrivendo per conto degli amici che mi hanno chiesto di farlo, e cioè Picchio, Sergio, Margherita, Rosario, Carlo, Carla, Rocco, Leonardo, Alfredo, Marco, Fabrizia, Roberto, Diego, Stefano, Ferzan, Giovanni, Valeria, Valerio, Giuliano, Alessandro, Anna, Gabriele, Francesco, la tua preghiera di lunedì, così semplice, così universale, autorizza a credere che anche tutti gli altri artisti del mondo siano in questo momento colmi di riconoscenza nei tuoi confronti, compresi quelli che vivono in Paesi i cui governi abbiano dato segno di avere a cuore, tra le tante, anche le loro tribolazioni. E non solo: sempre per il tramite dei miei amici, sono a rappresentarti la riconoscenza anche dei loro amici invisibili, i comprimari, gli assistenti, i tecnici, i lavoratori in genere che danno il loro necessario contributo affinché gli artisti possano indicare, come tu hai detto, la strada per la bellezza. E questi sono tanti, caro Francesco, e tu lo sai — migliaia, e non hanno la minima idea di quando potranno tornare a lavorare. Tribolano, e più sono invisibili più tribolano, e i miei amici mi hanno pregato di ringraziarti anche da parte loro. 
Ce n’è poi uno, tra questi amici, Mimmo, che mi ha chiesto di allegare a questa lettera anche un suo piccolo omaggio. È il ritratto di un altro amico — amico tuo, certo, soprattutto, ma anche nostro, amico di tutti —, che da venti secoli indica la strada della salvezza, raffigurato nella postura che lo ha reso così amato, potente e necessario. 
Ecco, caro Francesco, ho compiuto il mio dovere. Permettimi ora di unirmi ai miei amici nel ringraziamento e soprattutto nel saluto finale, che ripesco proprio da quel repertorio di bellezza e genialità che deve tornare al più presto ad arricchirsi: ed è anche il modo di porgerti il mio rispetto dopo essermi rivolto a te con un tono così sfrontatamente confidenziale. 
«Ti salutiamo con la nostra faccia sotto i tuoi piedi, senza chiederti nemmeno di stare fermo. Puoi muoverti quanto ti pare e piace, e noi zitti, sotto». 
Cordialmente
Gli amici artisti che in rappresentanza dei lavoratori dello spettacolo hanno chiesto a Sandro Veronesi di scrivere la lettera al Santo Padre sono: Diego Abatantuono, Stefano Accorsi, Roberto Andò, Alfredo Balsamo, Marco Balsamo, Margherita Buy, Carla Cavalluzzi, Francesco De Gregori, Pierfrancesco «Picchio» Favino, Anna Ferzetti, Giuseppe Fiorello, Rosario Fiorello, Alessandro Haber, Valerio Mastandrea, Ferzan Ozpetek, Mimmo Paladino, Rocco Papaleo, Leonardo Pieraccioni, Fabrizia Pompilio, Sergio Rubini, Gabriele Salvatores, Giuliano Sangiorgi, Valeria Solarino, Carlo Verdone, Giovanni Veronesi.

Sandro Veronesi – scrittore (dal Corriere della Sera del 30 Aprile 2020)

TURISMO: DOPO DUE MESI UNA PRIMA PRENOTAZIONE

Dopo circa due mesi abbiamo ricevuto la prima prenotazione in hotel…

“Nulla impedirà al sole di sorgere ancora, nemmeno la notte più buia. Perché oltre la nera cortina della notte c’è un’alba che ci aspetta.”
Khalil Gibran

Cesare Andrisano – direttore albergo “Villa Sonnino” San Miniato

GIOVANNA BOTTERI: UNA LEZIONE DI GIORNALISMO E DI VITA

Giovanna Botteri, corrispondente Rai dalla Cina

L’hanno offesa. L’hanno attaccata per l’aspetto fisico, per il look, per l’età, per il vestito nero. Persino per quei capelli lunghi e imbiancati che sono diventati il suo marchio di fabbrica e di libertà contro ogni tabù e pregiudizio. L’hanno sottoposta a un body-shaming indegno, vergognoso, a cui anche “Striscia la notizia” – e, peggio ancora, una donna – ha contribuito. 

Alla fine lei, Giovanna Botteri, un monumento del giornalismo televisivo italiano e del servizio pubblico, ha risposto per sé, per tutte e per tutti. 
E lo ha fatto con una dignità da applausi, mettendo a tacere gli odiatori.

“Mi piacerebbe che l’intera vicenda, prescindendo completamente da me, potesse essere un momento di discussione vera, permettimi, anche aggressiva, sul rapporto con l’immagine che le giornaliste , quelle televisive SOPRATTUTTO, hanno o dovrebbero avere secondo non si sa bene chi…
Qui a Pechino sono sintonizzata sulla Bbc, considerata una delle migliori e più affidabili televisioni del mondo.
Le sue giornaliste sono giovani e vecchie, bianche, marroni, gialle e nere. Belle e brutte, magre o ciccione. Con le rughe, culi, nasi orecchie grossi.
Ce n’è una che fa le previsioni senza una parte del braccio.
E nessuno fiata, nessuno dice niente, a casa ascoltano semplicemente quello che dicono.
Perchè è l’unica cosa che conta, importa, e ci si aspetta da una giornalista.
A me piacerebbe che noi tutte spingessimo verso un obiettivo , minimo, come questo.
Per scardinare modelli stupidi, anacronistici, che non hanno piu’ ragione di esistere.
Non vorrei che un intervento sulla mia vicenda finisse per dare credibilità e serietà ad attacchi stupidi e inconsistenti che non la meritano.
Invece sarei felice se fosse una scusa per discutere e far discutere su cose importanti per noi, e soprattutto per le generazioni future di donne.”

Una lezione di giornalismo e di vita.
L’ennesima di questa grande donna e professionista.

Da un post di Lorenzo Tosa

CALCIO: RIPARTIRE QUANDO LA GENTE SARA’ PRONTA A GIOIRE

Cesare Prandelli

Bisogna lasciare decantare il lutto e il dolore.
Ci vuole rispetto per chi ha sofferto.
Non si può passare dal cimitero allo stadio in un giorno; da un convoglio di 150 bare alla gola.
Se il calcio perde 3 o 4 mesi non cambia nulla. Non devono essere pronti a giocare solo i calciatori, deve essere pronta anche la gente a gioire.
Cesare Prandelli – allenatore

L’EPIDEMIOLOGO: STADI VIETATI ANCORA A LUNGO?

Uno degli stadi italiani con tanti tifosi prima dello stop a causa del virus

Un anno. Forse più. Secondo l’epidemiologo americano Zach Binney, della Emory University di Atlanta, gli stadi potrebbero rimanere vietati al pubblico addirittura per un anno e mezzo. A partire da adesso. «Bastano solo pochi contagiati in una folla di 60 mila persone perché ci sia il rischio che accada qualcosa di molto grave» ha spiegato lo specialista al Times. «A meno di miracoli, dovremo privarci a lungo di questo piacere» concorda il virologo italiano Roberto Burioni. Fossero davvero diciotto mesi, significherebbe che tutta la stagione 2020-21 sarà a porte chiuse. Ma poi? Cosa succederà? Che sarà degli stadi italiani e del mondo dopo la pandemia? Diversi, sì, ma come? Sebbene lo scenario non sia immediato, visto che prima della fase 3 è ancora tutta da pianificare la fase 2, quella della ripartenza a porte chiuse, i club più lungimiranti stanno iniziando già a riflettere sul futuro. Una partita delicata, che nessuno potrà permettersi di perdere. 

Una previsione ha provato a farla Mark Fenwick, uno degli architetti più importanti a livello internazionale, che si occupa della costruzione di tre degli otto impianti del Mondiale di Qatar 2022, secondo il quale la partita si giocherà su tre fronti: «Controlli, distanziamento, automatizzazione». Fra i punti fermi ci sono «la riduzione della capienza per aumentare lo spazio fra gli spettatori» e «il ricorso alla tecnologia no-touch». Gli impianti della fase 3 dovranno essere il più possibile automatizzati. Non sarà semplice, perché gli stadi italiani sono per la maggior parte obsoleti, complessi da adeguare. Ma si dovrà fare. Per forza di cose. Altrimenti resteranno vuoti o semivuoti per lunghissimo tempo. 

Fondamentale abbattere la possibilità di contatti. A partire dall’ingresso allo stadio, che andrà scaglionato, come l’uscita, con orari prestabiliti per evitare assembramenti. I tifosi andranno sottoposti al controllo della temperatura corporea per fermare le persone a rischio. C’è il progetto di scanner facciali per evitare di dover ricorrere al «pat down», il controllo dell’addetto che perquisisce le tasche. Qui però sorgerà un problema: come fare con le mascherine? Fino a due mesi fa sarebbero state vietate, perché impediscono l’identificazione del tifoso, per lungo tempo saranno invece obbligatorie (e griffate, con i simboli e i colori del club: in Germania sono già cult). La soluzione più logica e semplice sarà limitarsi al controllo del documento. Anche dentro potrebbe essere tutto molto diverso. Fondamentale sarà incentivare l’uso degli acquisti via smartphone, in modo da evitare scambio di banconote. Per cibo, biglietti, merchandising. Un’app potrebbe permettere di evitare assembramenti e file ai bar, con la creazione di un sistema di localizzazione del cliente o di avviso per quest’ultimo. Capitolo porte: addio maniglie, dovrebbero aprirsi e chiudersi a infrarossi. 

Potrebbe cambiare addirittura anche il modo di tifare. Si potrebbe arrivare perfino a far sedere gli ultrà. «Non per una questione di sicurezza ma perché sarà l’unico modo per occupare uno spazio ben definito e distante — spiega Stefano Perrone, direttore operativo del Parma e consulente della Lega di serie A per la gestione degli stadi —. In una prima fase è immaginabile un’occupazione dei posti a scacchiera, un po’ come si farà sui treni e in metro: la capienza potrebbe essere dimezzata, perché gli stadi italiani sono in media vecchi, quindi con spazi stretti oggi». 

Carlos Passerini – Arianna Ravelli – da “Il Corriere della Sera”

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