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Enzo Biagi e Montecatini: quando il grande giornalista si raccontò in un’intervista nel giardino del teatro Verdi

Enzo Biagi e Montecatini: quando il grande giornalista si raccontò in un’intervista nel giardino del teatro Verdi

Tre anni fa avrebbe compiuto 100 anni. Enzo Biagi era nato il 9 agosto 1920 a Pianaccio, un piccolo paese sull’Appennino bolognese. Se ne andò il 6 novembre 2007. Aveva 87 anni.
La Valdinievole non gli era sconosciuta: una domenica si ritrovò con Indro Montanelli da “Cecco”, per tanti anni il migliore ristorante di Pescia, per gustare insieme bistecca e fagioli di Sorana. E, naturalmente, per parlare di giornalismo.
Nel 1984 venne a Montecatini: sono i tempi dei grandi spettacoli televisivi della Rai dal Teatro Verdi con la conduzione di Pippo Baudo. “Serata d’Onore” è il varietà-principe del fine settimana sulla rete ammiraglia, ma, visto che Baudo è a Montecatini con tutta la maxi-organizzazione del suo show, la Rai vi abbina anche “Domenica in…” (condotta sempre dallo stesso Baudo) e “Linea verde”. Insomma, quella primavera lo studio principale della Rai si trasferisce da Roma a Montecatini.
I grandi personaggi dello spettacolo e della cultura arrivano in città e tra questi anche un grande giornalista, Enzo Biagi, che presenta il suo ultimo libro “Diciamoci tutto”. Da allora sono trascorsi 39 anni.  

Enzo Biagi intervistato da Mauro Lubrani nel giardino del teatro Verdi (1984 – Foto Goiorani)

In quella occasione ho incontrato Biagi. Il grande giornalista, definito “il testimone del tempo”, autore di oltre ottanta libri e di interviste che hanno scritto la storia del ‘900, accettò di raccontarsi per un articolo su “La Nazione”, giornale “cugino” del “Resto del Carlino” di cui era stato il direttore. L’intervista con Biagi si svolse su una panchina sotto i pini nel giardino del teatro Verdi. Il giornalista era in attesa di prendere parte a “Domenica in”. In quei giorni si parlava molto di Enzo Tortora, del suo clamoroso arresto di un anno prima e della sua candidatura al Parlamento Europeo. Ma Biagi parlò anche del mondo del giornalismo con giudizi che sono attuali anche oggi.

Qual è il contenuto del nuovo libro?
“Si tratta di una raccolta di articoli e rubriche comparsi su “Repubblica” e “Panorama” e qualcuno su “Il Corriere della Sera”. E’ stata una proposta del mio editore, il quale pensa che certi miei ritratti conservino interesse e significato per l’inesorabile vitalità dei personaggi della cronaca italiana”.

Fin dal primo momento ha difeso Enzo Tortora, però non ha condiviso la sua candidatura al Parlamento europeo. Perché?
“Non ho idea di come io potrei resistere all’usura nervosa che ha subito Tortora. Se una persona si considera innocente e vive quell’esperienza può attaccarsi a qualunque speranza anche a quella di diventare deputato europeo. Io credo che la scelta che lui ha fatto, così, vista dal di fuori, probabilmente non è delle più felici, anche perché Io sono contro l’immunità parlamentare, quindi non mi potrei associare a nessuna campagna per nessuno. lo credo che gli uomini politici debbano rispondere davanti alla giustizia per quelli che sono ritenuti reati comuni come i cittadini qualunque».

La posizione di Enzo Tortora è strumentalizzabile perché la sua candidatura si avvicina a quella di Toni Negri?
“Non si avvicina, sono imputazioni ben diverse.  Certamente c’è un collegamento fatale fra i due nomi e questo non è certo a vantaggio di Tortora”.

Lei ha fatto parte del partito innocentista a favore di Tortora, molti colleghi invece lo hanno condannato da tempo.
“La categoria non è nota per la sua benevolenza nei confronti del prossimo e in particolare dei colleghi. Io non ho difeso tanto Tortora da accuse che peraltro non gli sono state ancora presentate, perché dopo un anno non sappiamo ancora veramente quali sono le imputazioni di cui deve rispondere. L’ho difeso da quel tipo di processo fatto in piazza a colpi di indiscrezioni, di sussurri, di verbali passati qua e là e di testi che sembrano a prima vista già poco credibili, come quel pittore Margutti che io ho smascherato e che dopo un anno si è deciso a dire che tutto quello che aveva detto era menzogna. L’ho difeso dallo spettacolo che si è fatto di Tortora, che, pure essendo uomo di spettacolo, ha diritto al suo riserbo. Sono contento che il ministro Martinazzoli abbia deciso, probabilmente in seguito anche ad un mio programma, di impartire delle disposizioni perché non si umilino gli arrestati con quelle sfilate di uomini in manette, di gente sotto la luce dei riflettori o magari con qualche poliziotto che gli tira su la testa”.

Enzo Biagi al ristorante “Da Cecco” a Pescia. Con lui c’era Indro Montanelli (la foto fu scattata dall’indimenticata Sergio Silvestrini)

Con “Film dossier” ha avuto molto successo in televisione. Com’è nata l’idea di questa trasmissione?
“L’idea non è mia, alla televisione francese da tempo c’è un programma di questo tipo.
Tanti anni fa, avevo proposto di rifarlo alla Rai, ma non era possibile per una certa regolamentazione sui film che oggi perversano su tutte le televisioni private e non. Quando me lo hanno proposto l’anno scorso abbiamo fatto la prima serie che andata bene; poi ce n’è  stata un’altra curata da altri e poi finalmente questa. Io credo che il successo del programma sia nella credibilità, cioè lo spettatore sente che non c’è niente di manipolato, qualità e difetti sono messi lì senza intenzione di fare vincere questo o quell’altro. Che poi lo spettatore, come in un western, faccia il tifo e si scelga il buono, il cattivo o lo sceriffo, questo rientra nei compiti della tivvù, che, secondo me, dovrebbe anche proporre dei motivi di discussione. Insomma, il programma funziona se la mattina dopo, al caffè o alla scuola, la gente ne parla”.

Lei, come Baudo, è diviso tra Rai e televisioni private. Se le chiedessero l’esclusiva?
“Mi è stata proposta, però sono uno che rispetta gli impegni. Sono legato ai Mondadori dagli inizi della mia carriera, perché sono andato ad “Epoca” nel 1952. Leonardo Mondadori l’ho visto ragazzino con le braghe corte, come del resto avevo visto i Rizzoli con i quali ho lavorato tanti anni. Spesso ci sono anche problemi personali, non soltanto di scelte professionali. Desidero rispettare i miei impegni: vediamo quello che si può conciliare e che si può fare dalle due parti”.

Lei è diventato uno dei giornalisti più importanti in Italia, partendo da Lizzano Belvedere, un piccolo paese sull’Appennino. Come si fa?
“Sono nato al confine fra l’Emilia e la Toscana e ho i difetti di tutte due le parti, quindi li metta insieme e ci sarebbe da parlare a lungo. Il mio cognome è toscano, come risulta evidente, i miei hanno vissuto a lungo a Lucca dove ci sono ancora dei Biagi. La Toscana è stata importante nella vita dei miei ed anche nella mia, che da bambino sono finito in Maremma”.

Ecco, e da lì?
“Da lì sono andato a Bologna quando avevo sette-otto anni. Ho iniziato a fare il giornalista al “Carlino”, dove ho fatto di tutto, diventandone direttore infaustamente tanti anni dopo, perché non bisogna mai tornare, come dice Dostoevsky, sul luogo del delitto. Ci sono tornato con gli occhi della giovinezza a cercare un mondo che non c’era più”.

Non ha nostalgia di fare nuovamente il direttore?
“No, perché ho anche delle difficoltà a dirigere me stesso. L’unica cosa di cui sono ben sicuro è che non vorrei dirigere niente. Sono cambiati troppo i rapporti fra giornalisti e mi pare che i direttori forse non abbiano più il tempo e magari neanche la voglia di crearli i giornalisti, di trasmettergli quella che è la loro esperienza, di stargli vicino, di inventare il giornale assieme, di partecipare a quella bella avventura che è scoprire ogni giorno un pezzetto di vita. Ora è tutto troppo sindacalizzato. Questo è un mestiere competitivo, invece ne è venuto fuori un grande bisogno di sicurezza, ma allora bisogna entrare a lavorare in banca o nelle ferrovie”.

Lei ha annunciato che il suo prossimo libro, che uscirà a Natale, sarà anche l’ultimo. Non è un po’ troppo presto per dirlo?
“E’ molto probabile. Ci sono due libri a cui tengo molto e sono “Disonora il padre”, che è il libro della mia giovinezza e delle esperienze vissute dalla mia generazione, e il prossimo “Mille camere”, il libro della maturità, un riepilogo di un a vita vissuta, lunga, che mi ha permesso di conoscere tanta gente nel bene e nel male”.

LA CARRIERA TELEVISIVA

Biagi cominciò la sua carriera in Rai nel 1960 con il documentario “Il giudice”, la storia di un bambino ebreo, David Rubinovic, morto in un campo di concentramento. Il bilancio è stato di cento trasmissioni e mille e trecento puntate. Biagi è stato artefice di un cambiamento del linguaggio televisivo e giornalistico usato in televisione. Nel Tg, quando divenne direttore nel 1961, mise il giornalista alla conduzione al posto dell’annunciatore, portò le telecamere all’esterno in diretta dai luoghi dove accadevano i fatti e poi riuscì a convincere l’allora direttore generale Ettore Bernabei che operatori, tecnici, regista e giornalisti andassero negli stessi alberghi e mangiassero negli stessi ristoranti. Fino allora non era mai accaduto.
“Io arrivai al Telegiornale – ha raccontato Biagi in un’intervista del 1990 a Clemente Mimun – convinto che bastasse fare quel giornalismo e questa è colpa mia perché non avevo capito come era il mondo romano e il mondo politico. E devo ringraziare Bernabei per la sua lealtà, perché quando io ho avuto degli attacchi sulla mia persona l’obiettivo era piccolo perché ero io, ma i traguardi che si ponevano erano molto grandi. Mi accusavano di avere aperto la televisione ai comunisti. Ma io non ho mai chiesto a quelli che lavorano con me come la pensassero”.

Nel 1985 nel suo nuovo programma, che andava in onda in seconda serata, introdusse la rassegna stampa. Per la prima volta i telespettatori ebbero l’opportunità di vedere le prime pagine dei giornali che sarebbero andati in edicola il giorno dopo. 

Il 1995 fu l’anno de “Il Fatto”, una trasmissione di 5 minuti che per 846 puntate fino al 2002 tenne incollati a Raiuno sei milioni di telespettatori. Una giuria di importanti giornalisti lo decretò come il miglior programma dei 50 anni della Rai.

Rai3 ha riproposto di recente una trasmissione televisiva che fu di grande successo tra le tante condotte da Biagi. Si tratta di “Cara Italia”, un viaggio alla scoperta della nostra nazione. Ha affermato Loris Mazzetti, storico collaboratore di Biagi, nell’introduzione: “A Biagi erano sufficienti tre cose per creare dei grandi servizi: una penna, un quaderno per appunti e un paio di scarpe”.
Il programma andò in onda tra novembre e dicembre 1998. Fu un grande evento perché dopo il “Viaggio in Italia” di Mario Soldati del 1956, attraverso le valli del Po alla ricerca di cibi genuini, e quello di Guido Piovene realizzato tra il 1957 e il 1959, che raccontò il paese del boom economico e della rapida industrializzazione, Biagi volle dedicare un programma ai problemi grandi e piccoli che il paese avrebbe dovuto affrontare alla vigilia del nuovo millennio, raccontati attraverso confessioni, memorie, interviste a personaggi famosi o semplici protagonisti della cronaca quotidiana.
A distanza di tanti anni, rivedendolo, purtroppo scopriamo che molti di quei problemi non sono stati ancora superati, anzi si sono amplificati.

Mauro Lubrani

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