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Opere di Ardengo Soffici e Carlo Carrà entrano nella collezione del museo civico Moca

Opere di Ardengo Soffici e Carlo Carrà entrano nella collezione del museo civico Moca
ARDENGO SOFFICI, Cinquale, puntasecca formato lastra 21×34, formato foglio 45×65, tiratura 1/30 e 5pda, anno 1963, stampatore Il Bisonte.

La collezione civica Mo.C.A. si amplia con un nucleo di incisioni, litografie e acqueforti, a firma di grandi nomi del Novecento italiano; tra questi, Ardengo Soffici e Carlo Carrà. Le opere acquisite, un’incisione a puntasecca ed una ad acquaforte, saranno apprezzabili nell’ambito di future temporanee.
Di origini fiorentine, pittore Accademico d’Italia (1939), critico d’arte di “violenza polemica” e collaboratore de La Voce e del Popolo d’Italia, Ardengo Soffici (1879-1964) è considerato tra i grandi protagonisti della Storia dell’Arte Italiana del secolo Novecento. Sperimentatore di avanguardie dal futurismo al cubismo, ritrattista e paesista, nel corso del soggiorno parigino (1903-1907) apprezza la fugacità dell’immagine impressionista e post-impressionista di Degas e Cézanne che diventano “filtri” attraverso cui rielabora uno stile macchiaiolo; ne nascono capolavori come “Casa Colonica”, “Campi arati” e “Campo con pagliaio” oggi in Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma. Per la produzione successiva Soffici adotta, comunque, uno stile caratterizzato da una luminosità ed una freschezza nuove, di orientamento modernista, anticonformista, nazionalista, nostalgicamente toscano alla maniera di Giotto e Masaccio; ne derivano tele strutturate su pennellate, talvolta dense talvolta leggere, che mantengono e miscelano la tradizione pittorica trecentesca e quattrocentesca con influenze macchiaiole, impressioniste e selvaggiamente “fauves”. Soffici si dedica anche alla pratica incisoria, composta per lo più da xilografie, caratterizzata da un tratto veloce frutto di sperimentazione metodologica atta a perseguire gli stessi effetti ottenuti in pittura.


Protagonista dei movimenti che rivoluzionarono la pittura del primo ventennio del Novecento, scrittore e critico d’arte, pittore e incisore, Carlo Carrà (1881-1966) si oppone all’accademismo e ai dettami ottocenteschi per abbracciare ispirazioni e valori decisamente “primitivi” di rigorosa essenzialità.

CARLO CARRA, Senza titolo, acquaforte b/n, formato lastra 21×25, formato foglio 35×50, tiratura 1/50 e 5pda, anno 1964, stampatore Il Bisonte

Tra i firmatari del manifesto futurista (20 febbraio 1909) conosce Picasso, Braque e De Chirico; prende parte alle Biennali veneziane del 1948, 1950 e 1952 nonché a numerose rassegne estere. La produzione artistica rende manifesta l’adozione di una pluralità di stili che si compenetrano l’un l’altro; dai primissimi paesaggi degli anni Venti, caratterizzati da un disegno essenziale (“Case a Belgirate”) di profonda meditazione ed autonomia artistica, a partire dagli anni Quaranta propone immagini “visionarie” popolate di angeli e demoni, creature mitologiche e figure realistiche, immagini di morte e di speranza. Forte degli insegnamenti di Giuseppe Guidi, alla produzione pittorica Carrà affianca anche l’attività incisoria attraverso cui reinterpreta acqueforti e litografie; il segno duro e sintetico, i tratti incrociati in addensamenti di zone d’ombra e continue scomposizioni di sagome fanno dell’artista un professionista innovativo, stilisticamente e concettualmente volto al futurismo con tendenze primitiviste ed inclinazioni al metafisico.

PIETRO VIGNOZZI IL PITTORE DELLA SOLITUDINE

Entra in collezione Mo.C.A. la firma di Pietro Vignozzi, artista di rilievo, Accademico d’Onore all’Accademia delle Arti del Disegno di Firenze.
Pietro Vignozzi inaugura la propria carriera artistica nel 1957 per rassegne collettive sia in Italia che all’estero. Il sodalizio con Alfonso Gatto si rivela fondante lo stile dell’artista; l’uno pittore l’altro poeta, due affini sensibilità si riversano nelle prime opere dell’artista in grafie di delicata ed elevata leggerezza ai limiti dell’Informale. Dalle prime incisioni e bozzetti, esposti per la Galleria L’Incontro di Arezzo, il pittore torna al figurativo che, sullo scorcio degli anni Sessanta, magistralmente filtra e mitiga con influenze Pop. Si occupa anche di grafica su commissioni per il “Giornale del Mattino” di Firenze su cui cura la rubrica dedicata all’architettura; ingente anche l’impegno in docenza con ruoli di prestigio tra cui la cattedra al Liceo Artistico e all’Accademia di Belle Arti.

Tazzina e lillà reciso, 2015, disegno, cm 50×70

Il curriculum dell’artista vanta prestigiosi riconoscimenti: il Premio Caravaggio (1958), il Premio di Pittura Contemporanea (1968) ed il Premio del Fiorino (1977). Opere a sua firma sono state ospitate da gallerie di rilievo da Prato (Metastasio, 1981) a Firenze (Sala d’Armi – Palazzo Vecchio, 1987) ad Arezzo (2005), da Milano (Galleria Trentadue, 1986) a Ferrara (Palazzo dei Diamanti, 1991), da Agrigento (Fabbriche Chiaramontane, 2009) a Modica (Sala del Granaio, 2010) e Siracusa (Galleria Quadrifoglio, 2011), a raggiungere Parigi, Madrid, Basilea e Los Angeles. Ad oggi anche la collezione degli Uffizi (Gabinetto dei Disegni e delle Stampe della Galleria) ed il Gabinetto Vieusseux di Palazzo Strozzi conservano disegni del Maestro.
Eletto Accademico Corrispondente dell’Accademia delle Arti del Disegno di Firenze (ottobre 1999), poi Accademico Ordinario (ottobre 2001) e Accademico d’Onore, tra le manifestazioni di prestigio cui ha preso parte si ricorda la Quadriennale di Roma (XIII edizione, 2000) e la Biennale d’Arte di Venezia (54° edizione – Padiglione Italia, 2011). 
Definito dalla critica “pittore delle povere cose”, Vignozzi propone su tela una dimensione “altra” rispetto alle esperienze di vita vissuta tra altissime gioie e abissali dolori. Racconta, dunque, quiete e silenzio; racconta un vissuto semplice, senza fronzoli, autentico, di piena autocoscienza e consapevolezza. Racconta la solitudine vissuta come profonda esigenza di distacco dalle grandi emozioni, come colloquio imperituro con sé stesso, in pace con sé stesso; una solitudine voluta, essenziale per il suo spirito e per quante anime affini, di non comune sensibilità.

L’ARTE COMUNICATIVA DI MANUELA BEDESCHI

La Galleria Civica vanta un nuovo ingresso in collezione permanente: Colors di Manuela Bedeschi si aggiunge al nucleo espositivo grazie a Florilegio Italiano – Artisti invitano artisti. Il progetto si conferma forza di condivisione di cultura e arti visive-concettuali, strumento di riflessione sul contemporaneo. Manuela Bedeschi, artista di alta formazione, si diploma in Scultura e Pittura all’Accademia di Belle Arti di Verona;  approfondisce poi tecnica e stile alla Scuola Internazionale di Grafica e al Centro Internazionale della Grafica di Venezia.
Impegnata nell’organizzazione di visite guidate ed appuntamenti culturali, dal 2007 presiede l’Associazione Culturale Villa Pisani con cui organizza mostre in collaborazione con la Galleria Invernizzi di Milano, con contributi di critici del calibro di Luca Massimo Barbero e Francesca Pola.
L’artista vanta una lunga carriera espositiva che dai primi anni Ottanta la impegna fino ai nostri giorni in scultura e pittura, per  mostre nazionali ed internazionali; sue opere sono state esposte in gallerie storiche da Bolzano a Venezia, da Milano a Verona, da Padova a Brescia fino a raggiungere Innsbruck, Vienna, Parigi e New York.

“Colors”, 2022, materiale plastico, cm 110×110

Sua prerogativa specifica è l’installazione artistica con predilezione per interventi site specific: vale a dire creazione di spazi per mezzo di segni di luce che, tagliando superfici bidimensionali, generano ulteriori tridimensionalità.

Il neon è il mezzo espressivo preferito e dominante che, aggiunto a materiali metallici e plastici, permette all’artista di sperimentarsi e sperimentare commistioni tra luci e volumi, assenze e presenze, spazi e densità che diventano rilievi e simulacri.

Sillogismi e aforismi diventano così sculture che si stagliano dallo sfondo e si nutrono di eccentriche cromie; segni e forme si strutturano nello spazio facendosi memoria di geometrie, fantasmi di cose che furono.
L’arte di Manuela Bedeschi è un concetto, è comunicazione visiva che utilizza supporti attuali sfruttandone pregi e difetti per instaurare un dialogo sul contemporaneo e ricalibrare il presente.

L’informale metamorfismo di Pingitore

La collezione Mo.C.A. accoglie la firma di Tarcisio Pingitore, artista dalla forte impronta new dada, che dona al nostro spazio espositivo le polimateriche “Candore” e “Ansia”. Si ringrazia, dunque, l’artista che contribuisce, così, alla definizione del profilo culturale della Galleria, confermando potenzialità attrattive, comunicative, aggregative, in linea con le tendenze del tempo e del sociale contemporaneo.
Definito dalla critica “artista dal temperamento riflessivo”, Pingitore è Maestro controcorrente che utilizza l’Arte per raccontare tensioni mentali e sentimentali quotidiane; ispirazioni alla Pop Art, all’Arte Povera e al puro Concettuale, filtrate da personali rielaborazioni estetico-sociologiche, nutrono opere che gli sono valse una lunga carriera espositiva, perdurante dagli anni Settanta ad oggi, immutata in caratteristiche e successo. Presente alla 54a Biennale di Venezia, Pingitore espone per gallerie nazionali da Trieste a Milano e Torino, da Roma a Trevi, da Salerno a Catanzaro, da Lecce a Rende e Siracusa; sull’onda della notorietà la sua firma raggiunge poi Stati Uniti e Australia.

Tarcisio Pingitore, Candore, 1990, ovatta e smalto su tela, cm 80×70

Diplomatosi all’Accademia di Belle Arti di Catanzaro, dove tutt’ora è impegnato nel ruolo di docente di Discipline Pittoriche, sin dagli esordi Pingitore manifesta apertamente un interesse per l’Informale realizzando opere materiche e segniche di forte impatto impressivo e di potente energia comunicativa, di spirito e cultura new dada; nell’utilizzare, infatti, materiali reali “di scarto”, dismessi e in disuso, riesce a salvare e salvaguardare verità intrinseche agli oggetti stessi, significanti e significative il quotidiano. Un semplice tessuto incarna e stimola ispirazioni creative e concettuali poiché carico di riflessioni sul contemporaneo e sulle afflizioni del tessuto sociale; prendono quindi forma opere oggettuali di matrice povera e concettuale, eseguite specificatamente con lenzuoli che diventano una sorta di “marchio di fabbrica” dell’artista. Il tessuto, utilizzato nelle opere a partire dagli esordi professionali fino ad oggi, viene declinato in soluzioni tecniche di poliedrica espressività, spesso con drappo appeso e sue pieghe naturali ad evocare un suggestivo e contemplativo still life; l’aggiunta di cartoni, stracci, ovatta, tovagliolini di carta, funzionale a rimarcare la vicinanza con l’Arte Povera, carica la materia stessa di riflessioni sullo stato sociale e attuale del tutto, in una sorta di processo metamorfico, metaforica sublimazione e materica riflessione critica.
In Pingitore è il sentimento che guida l’ispirazione; è il raziocinio che struttura la materia; è la percezione dei sensi che fa emergere una condizione cognitivo-affettiva introspettiva e contestualizzante; è, dunque, un equilibrio tra impulso dell’anima e oscillazione psichica che svela e rivela feelings, percezioni, intuizioni, passioni.

Un’opera di Guido Strazza al Moca

Un’opera di Guido Strazza, 100 anni compiuti a fine 2022, entra al Moca. Insegnante di incisione all’Accademia di Belle Arti dell’Aquila. Fra i riconoscimenti a lui assegnati: i due Premi Feltrinelli attribuitigli dall’Accademia dei Lincei nel 1985 per la grafica e nel 2003 per l’incisione, il Premio “Cultori di Roma” nel 2002 e il premio Vittorio De Sica per le arti visive nel 2014.
Membro della Koninklijke Vlaamse Academie van België, dell’Istituto Nazionale di Studi Romani e dell’Accademia Nazionale di San Luca, che ha presieduto nel 2011-12.
A completare la sua ricerca l’attività di docente svolta presso la Calcografia Nazionale, la Wesleyan University, l’Università di Siena, l’Accademia di Belle Arti di Roma della quale è stato direttore nel 1985-88, e la Scuola Libera di Grafica di Matera.
Da non dimenticare le esposizioni di grande successo cui ha preso parte, molto apprezzate dalla critica.
Accanto a quelle della Biennale d’Arte a San Paolo nel 1951 e nel 1953 e alla Biennale di Venezia del 1968 e 1984, ricordo l’antologica alla Calcografia Nazionale del 1990, quella alla Basilica Palladiana di Vicenza nel 2005 e la grande antologica alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna nel 2017.

Guido Strazza: Segni, olio su tela del 2014, di cm 150×95.

Nel 2022 l’Accademia di Belle Arti di Roma gli dedica una mostra seguita da “Trame e segni” nel 2023 tenuta presso l’Accademia di San Luca. 
Tra musei e gallerie internazionali e nazionali che conservano le sue opere il British Museum di Londra, il Ludwig di Colonia e lo Stedelijk di Amsterdam, poi i Musei Vaticani, gli Uffizi, il Mart di Rovereto, la Ca’ d’Oro a Venezia e la Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, che acquisisce il suo archivio.
GUIDO STRAZZA entra al Mo.C.A. donando Segni, olio su tela del 2014, di cm 150×95.
Il titolo dell’opera fa chiudere questa nota con una riflessione che può anche apparire una battuta ma non lo è: si tratta di un ulteriore segno che la credibilità della nostra attività culturale è riconosciuta a livello nazionale.
Alessandro Sartoni

“Autoritratto-controluce” di Giuseppe Modica

La collezione della Galleria Civica si arricchisce in qualità grazie ad un’opera di Giuseppe Modica, artista noto a livello nazionale ed internazionale per linguaggio innovativo basato su armoniche proporzioni, spazialità prospettiche e rigorosi equilibri cromatici e materici. Sostenitore del progetto “Florilegio Italiano”, con “Autoritratto-controluce” contribuisce ad impreziosire il cospicuo nucleo del nostro spazio espositivo.
Attratto dalla pittura di De Chirico, Modica frequenta l’Accademia di Belle Arti di Firenze. Studente appassionato, attrae le attenzioni di Maurizio Fagiolo Dall’Arco che lo invita a prendere parte alla mostra “De Metaphisica” cui partecipano anche Guarienti, Ferroni, Paolini, Bonichi e Luino. Questi i prodromi di una lunga carriera espositiva che si apre ufficialmente con una personale ospitata a Mazara del Vallo (1973) cui segue una temporanea (1976) alla “Galleria La Stufa” di Firenze; in questa occasione Natali, critico tra i più illustri, associa allo stile di Modica un’ispirazione al gusto e allo stile puramente metafisico. A conclusione degli studi accademici (1978) Modica resta a Firenze dove si dedica alla ricerca in campo pittorico e dove pensa, e sviluppa, un peculiare linguaggio artistico: l’equilibrio tridimensionale e le scenografie pulite in cui trovano collocazione elementi lineari diventano elementi sostanziali di tutte le future opere.

In foto: Autoritratto-controluce, 2013-15, tecnica mista digitale e pastello su carta a mano, 40x110cm.

Il nome dell’artista balza, così, agli occhi della critica contemporanea nazionale ed internazionale: da Santini, Paloscia, Federici e Nicoletti, a Sciascia che lo elogia sul “Corriere della Sera”, a Sgarbi che ne loda spessore e autonomia nella ricerca artistica. Numerose sono le partecipazioni a rassegne di pregio, dalla Fiera Internazionale d’Arte Art Basel (1982-1984), alla VI Triennale dell’Incisione di Milano (1990); dalla XXXIV e XXXV edizione del Premio Suzzara (1994-1995), alla XIII Quadriennale d’Arte di Roma (1999); dal XXVIII Premio Sulmona (2001), alla54esima Biennale Internazionale d’Arte Contemporanea di Venezia (2011).  
Segue una nutrita serie di allestimenti ospitati da gallerie nazionali e locations di pregio: da Aosta (1991) su invito dal direttore del Museo Internazionale d’Arte Contemporanea, a Milano (1992) in sodalizio con lo scrittore Antonio Tabucchi; da Ferrara (1993) dove l’artista tiene una mostra accompagnata da testi critici di Fagiolo Dall’Arco e Cesare Vivaldi, a Treviso (1996); da Marzara del Vallo (2002) a Palermo (2003-2004-2005). Si ricordano anche alcuni tra i più significativi appuntamenti che hanno segnato la carriera professionale di Modica; l’ampia antologica allestita in suo onore a Treviso (1997-1998) con focus su aspetti peculiari della ricerca stilistica tra 1990 e 1998; la retrospettiva “Riflessione come metafora della pittura” (2004) allestita al Complesso del Vittoriano con catalogo a firma di Umberto Allemandi; la mostra allestita al Museo Nazionale di Palazzo Venezia, intitolata Roma e la città riflessa (2008) proponente opere dal 1999 al 2008; Arte italiana 1968-2007 (2007) ospitata a Palazzo Reale di Milano a cura di Vittorio Sgarbi; la retrospettiva Atelier-Giuseppe Modica opere 1990-2021 (2021) al Museo Hendric Christian Andersen con patrocinio del Ministero dei Beni Culturali e della Fondazione Leonardo Sciascia.
La firma dell’artista è apprezzata, nota e richiesta anche all’estero, dall’VIIIBiennale d’Arte Internazionale Contemporanea de Il Cairo (2001), al NationalBelarussian History and Culture di Minsk; dal Museum Maritim Drassenes Reials di Barcellona (2003-2004), alla Galleria Jean Sifrein di Parigi che ha ospitato “Refletset Lumieres-Giuseppe Modica” (2015), dall’Accademia di Belle Arti di Mosca (2003-2004), a Canberra (2014) dove l’Ambasciata italiana ha dedicato all’artista un’esposizione di tre opere (2014) poi incluse nella collezione di Palazzo Farnesina. Ampiamente apprezzato anche in Cina, dall’Accademia Nazionale di Pittura e World Art Museum di Pechino, a Quanzhou (2020) dove La via della seta-il mondo in una stanza viene riproposta al Ministero della Cultura e del Turismo della Repubblica Popolare Cinese ed entra nella collezione permanente dell’Accademia Nazionale di Pittura di Pechino.
Docente all’Accademia di Belle Arti di Roma, Modica attrae pensieri e parole di critici del calibro di Marcello Venturoli, Sebastiano Grasso e Giorgio Soavi, Claudio Strinati. La complessa fenomenologia delle sue opere invita, difatti, ad ampie e profonde riflessioni circa il ruolo svolto dalla cromia in combinazione con la specularità delle geometrie; il connubio di luce e segno lineare, artificio capace di risvegliare memorie dimenticate, rivela infatti un alto grado di potenziale interpretativo. L’immagine allo specchio, riproposta dal medesimo, mostra il suo essere sequenza di frammenti che si scompongono e si ricompongono secondo ritmi generanti sprazzi di luce e buio, dunque memoria e oblio, in perfetto equilibrio. Queste antitesi, tanto concettualmente vertiginose quanto figurativamente equilibrate, si rispecchiano anche nella “polimatericità” costituente le opere stesse: asettici supporti digitali accolgono morbidi pastelli in un contrasto di texturesevocatore di squilibri e ricomposizioni materiche, sensoriali, percettive. Ecco, dunque, che l’arte di Modica si fa ginnasio della mente, labor-oratorium, luogo poetico dove il pensiero visivo, dunque i ricordi e la memoria, prende forma e si concretizza in Pittura. 
Una piccola nota conclusiva. Il lavoro di Modica è inconsapevolmente noto anche a tanti amanti di libri e di Sciascia in particolare. Vari titoli del maestro siciliano, editi da Adelphi, in prima di copertina riportano opere pittoriche di Modica.

LA SCULTURA, FORTE E CARISMATICA, DI VIGEN AVETISYAN

La Galleria Civica Mo.C.A. accoglie in collezione permanente un’opera di Vigen Avetisyan, artista armeno, di formazione accademica, dedito prevalentemente alla scultura. “Il nuovo Uomo del XXI secolo”, titolo della terracotta donata al nostro spazio espositivo, è pura forza artistica e spirito identitario materializzatisi su argilla.
Vigen Avetisyan nasce nel 1968 e si forma all’Accademia di Belle Arti della sua città, Yerevan, dove si approccia alla scultura con ispirazione ai grandi maestri italiani. Dopo il conseguimento del diploma ed i primi lavori in bronzo e marmo, l’artista si scopre cittadino del mondo collezionando una summa di esperienze, culturali e professionali, in Europa; si trasferisce, infatti, a Poznan in Polonia, e a Firenze dove studia all’ Accademia di Belle Arti.
Premi e riconoscimenti non tardano ad arrivare: segnalato tra i migliori scultori del marmo degli anni Novanta, viene apprezzato e ricercato da prestigiosi laboratori di Carrara.
Spinto da nobilissimi intenti mossi da un amore viscerale per le tradizioni e la cultura della sua terra natia, da tutelare e divulgare, in Armenia realizza importanti sculture e dà vita al Simposio di Scultura Internazionale di cui tiene le redini per varie edizioni.

Vigen Avetisyan, “Il nuovo Uomo del XXI secolo”, terracotta, 17x17x35, 2022

Vigen Avetisyan è dunque considerato uno dei maggiori artisti contemporanei; con pacata eleganza e garbo stilistico nelle sue opere declina, infatti, il proprio estro con suggestioni moderne, in linea con i più importanti movimenti della nostra attualità. Artista camaleontico, di indole indomita, realizza sculture di tecnica raffinata ed estrema cura per i dettagli, di potenza comunicativa senza pari. I volumi proposti dall’artista traggono nutrimento dal background culturale e dalla memoria storica, ancestrale, del fiero popolo cui appartiene.

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