Parole della domenica, Livorno celebra i suoi alberi monumentali. Montecatini prenda esempio e valorizzi il suo patrimonio verde

Montecatini ha un patrimonio verde che tantissime importanti città ci invidiano. Nei suoi parchi e giardini ha anche piante monumentali, che meriterebbero di essere, oltre che curate con grande attenzione, valorizzate e fatte conoscere. Un percorso nel verde anche all’interno degli stabilimenti termali, ma con la speranza che, ad esempio, il parco del Tettuccio possa tornare presto ad essere ammirato in tutto il suo splendore e in piena sicurezza.
La città dovrebbe seguire l’esempio della vicina Livorno. Dopo un lungo e accurato lavoro iniziato nel 2015, il Comune di Livorno finalmente festeggia un importante riconoscimento per il proprio patrimonio naturale. Con il decreto ministeriale numero 0579238 del 4 novembre 2024, il Ministero dell’agricoltura (Masaf) ha ufficializzato l’inserimento di 15 alberi livornesi nel settimo elenco nazionale degli alberi monumentali d’Italia. La conferma è arrivata dopo la delibera del Consiglio Regionale Toscano (numero 65 del 10 settembre 2024) e la successiva pubblicazione della documentazione sul sito ministeriale. Un traguardo che valorizza esemplari di grande pregio, meticolosamente selezionati secondo criteri come dimensioni eccezionali, architettura vegetale, età, rarità botanica e significato storico o culturale. Tredici di questi alberi si trovano sul territorio urbano, mentre un ulteriore gruppo di olivi secolari è situato sull’Isola di Gorgona, curato dai detenuti dell’istituto penitenziario locale.

Tra gli esemplari riconosciuti, spicca la tamerice d’Antignano (nella foto) tanto amata da Giovanni Fattori, protagonista dell’iniziativa di apertura dei festeggiamenti per il bicentenario del pittore, il prossimo 6 settembre.
E le nostre tamerici accanto all’omonimo stabilimento forse non meriterebbero di rientrare nell’elenco nazionale degli alberi monumentali d’Italia? Naturalmente insieme a tante altre piante storiche, vere meraviglie della natura.
Come ogni settimana, ho cercato nel web e sui giornali altre storie per chi voglia leggere ma soprattutto per chi voglia riflettere.
Buona lettura a tutti quelli che ci seguono.
(a cura di Mauro Lubrani)
L’atomica ottant’anni dopo

Ottant’anni dopo i bombardamenti atomici di Hiroshima e Nagasaki, avvenuti rispettivamente il 6 e il 9 agosto del 1945, non viviamo più l’incubo della guerra nucleare come un evento che renderebbe impossibile la vita umana sulla Terra intera. Non assistiamo a un confronto tra due superpotenze capaci di annientarsi reciprocamente, quali erano Stati Uniti e Unione Sovietica all’epoca della crisi dei missili di Cuba nell’autunno del 1962. Eppure la situazione non è affatto rassicurante, come emerge dai testi che aprono il numero de «la Lettura» domenica in edicola.
Da una parte la stessa memoria della tragedia vissuta dalle due città giapponesi si è attenuata. Peraltro, come illustra Taguchi Randy, anche la pur opportuna scelta di creare a Hiroshima un Parco della Pace là dove sorgeva un quartiere completamente distrutto dall’esplosione ha contribuito a cancellare il ricordo della vita che brulicava in quel luogo. E lo sviluppo urbanistico ha fatto il resto, benché la ferita aperta dall’ordigno sganciato nel 1945 da un B29 americano sia destinata a rimanere aperta. Anche perché, una volta entrata nell’era nucleare, l’umanità non può più uscirne.
Questo è appunto il problema sollevato nell’articolo di Furukawa Hideo, che si riferisce sia agli attacchi israeliani e americani contro i siti atomici dell’Iran, sia ai rischi derivanti dal fatto che in Ucraina si combatte nei pressi della centrale di Zaporizhzhia. Il fatto è che dal 1945 sono aumentati parecchio gli Stati che dispongono di armi nucleari. Ai cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell’Onu (Usa, Russia, Gran Bretagna, Francia, Cina) si sono aggiunti l’India e il Pakistan, Paesi rivali da sempre che proprio di recente si sono trovati ai ferri corti, e la Corea del Nord. Poi c’è l’epicentro delle peggiori tensioni, il Medio Oriente.
Antonio Carioti – Corriere della Sera / La Lettura, 3 agosto 2025
Nella foto: la Cupola in una foto scattata nel 1945 a Hiroshima dopo l’esplosione nucleare. L’edificio si trovava a soli 160 metri a nord-ovest dell’ipocentro (Ansa)
La popolazione UE cresce, ma non per l’Italia

Con il 2024 fanno quattro anni consecutivi di aumento. E potrebbero essere anche di più se non fosse stato per la pandemia che nel 2021, limitando l’immigrazione e incrementando i decessi ha interrotto la serie di crescita della popolazione dell’Ue che altrimenti sarebbe stata ancora più lunga. Fatto sta che al primo gennaio 2025, dicono gli ultimi dati dell’Ufficio statistico europeo Eurostat, i residenti dell’Unione hanno superato quota 450 milioni, con una crescita di poco più di 1 milione rispetto a 12 mesi prima.
La popolazione Ue cresce, si diceva. Ma non allo stesso modo e non ovunque, ovviamente. E soprattutto, come sappiamo, non in Italia. Il nostro, come certifica Eurostat, è infatti uno di quegli stati membri dove nell’ultimo anno i residenti sono calati. Non si è trattato di un calo vistoso, semmai piuttosto contenuto: -0,06%.
Nondimeno il segno davanti al numero risulta negativo e associa l’Italia ad un manipolo di Paesi europei tutti situati nell’est del continente e colorati con una scala di rosso nella mappa seguente. Nella parte orientale dell’Europa, con l’eccezione della Lituania, il calo della popolazione è generalizzato, con un picco in Moldavia dove negli ultimi 12 mesi gli abitanti sono calati dell’1,73%. Diverso il discorso altrove, dove la crescita della popolazione, seppure molto limitata, prosegue e tinge la superficie del Paese di azzurro. Nella maggior parte dei casi l’incremento della popolazione da un anno all’altro resta sotto l’1%, con qualche eccezione che spicca per un blu più acceso: Portogallo (+1,03%), Islanda (+1,53%) e Irlanda (+1,65%).
Raffaele Mastrolonardo, SkyTG24, 1 agosto 2025
Il Giubileo dei giovani, l’incontro con il Papa

«Disarmiamo i nostri cuori per disarmare cuori e mani di un mondo violento, per guarirne le cicatrici, per impedire nuovi conflitti»; è l’appello del cardinale Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Cei, nell’omelia per la Professione di fede dei giovani italiani, riuniti giovedì sera in 40mila in piazza San Pietro per il loro Giubileo. Prima della Professione di fede, la piazza è stata animata da canti, letture, esibizioni di artisti e testimonianze, come quella di don Antonio Loffredo, che ha raccontato la “via della bellezza” sperimentata da parroco al Rione Sanità di Napoli o quella della mamma di Sammy Basso, Laura Lucchin, che ha descritto una vita da lei definita privilegiata, grazie alla testimonianza e alla lezione di suo figlio, morto a causa della progeria a soli 28 anni. «Trovate qualcosa che vi riempia il cuore», il consiglio di Nicolò Govoni, 32 anni, scrittore e fondatore di “Still I Rise”, mentre narrava la scommessa che ha dato vita ad un’organizzazione umanitaria in prima linea per l’educazione di bambini profughi e vulnerabili in varie aree del mondo. «Che questi giovani ricevano una traccia profonda, che qualcosa di profondo accada e che rimanga per sempre», l’auspicio della Chiesa italiana per loro, formulato da monsignor Giuseppe Baturi, segretario generale della Cei. Oggi ci sarà l’abbraccio con papa Leone XV a Tor Vergata, nel primo grande incontro con i giovani di tutto il mondo. Tutte le cronache dei nostri inviati e i commenti in questo canale di avvenire.it.
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