Parole della domenica, forti timori degli architetti per il raddoppio della ferrovia tra Montecatini e Pescia: “Serve la sopraelevata”

In città si cominciano ad avere molti timori in vista della prossima fine dei lavori del primo tratto di raddoppio della ferrovia Pistoia-Montecatini. La conclusione, in grave ritardo sui tempi previsti all’origine, dovrebbe avvenire entro la fine dell’anno in corso.
A cosa sono dovuti i timori? Al fatto che al momento non si conoscono le intenzioni delle Ferrovie sul proseguimento dell’opera fino a Lucca. Si riprenderà da Pescia, lasciando il tratto tra Montecatini e Pescia a un solo binario? Oppure il raddoppio riguarderà anche la nostra città. In quel caso ci potrebbero essere grossi problemi sulla permanenza di tutti i passaggi a livello e si avrebbe il rischio di una divisione in due di Montecatini. Per quanto riguarda l’ipotesi di una sopraelevata si teme che non sia più possibile, visto che l’innalzamento dei binari avrebbe dovuto partire almeno dalla Colonna.
Non a caso, nei giorni scorsi, un gruppo di architetti montecatinesi ha affrontato l’argomento con un secco “no al muro sulla ferrovia nel tratto di Montecatini, sì alla sopraelevata”.
Nel loro intervento affermano: “Siamo fortemente preoccupati per gli effetti che tale opera potrebbe determinare sulla città se il progetto, che sembra sia in fase di predisposizione, sarà caratterizzato dalla mancanza di attenzione ai luoghi e al territorio come già, purtroppo, avvenuto per i tratti di attraversamento dei comuni di Serravalle e Pieve a Nievole su cui non possiamo che esprimere disappunto e tentare di evitare un ’domani’ simile”.
Gli architetti ricordano che, negli anni scorsi, c’era stato un dibattito serrato e intenso che ha acceso gli animi e visto in campo comitati che si sono battuti per soluzioni alternative. “Inaccettabili – dicono – i motivi di ordine economico e di tempistica che hanno portato RFI ad escludere l’ipotesi di sopraelevare nel tratto compreso tra la stazione centrale e il sottopasso dell’ippodromo”. Si tratterebbe, nel dettaglio, del superamento di 1300 metri lineari: “Contribuirebbe a sanare l’antica divisione tra il sopra e il sotto ferrovia aprendo la città alla realizzazione di una nuova viabilità ciclabile-pedonale in direzione est-ovest di collegamento con la stazione centrale con nuove aree di parcheggio e spazi pubblici di integrazione della socialità. Una rigenerazione urbana”.
Come ogni settimana, ho cercato nel web e sui giornali altre storie per chi voglia leggere ma soprattutto per chi voglia riflettere.
Buona lettura a tutti quelli che ci seguono.
(a cura di Mauro Lubrani)
Come è nato il sigaro toscano

Oggi fa parte della memoria storica dell’Italia, infatti lo fumava anche Giuseppe Garibaldi. Oggi è il più venduto d’Italia e la sua storia precede anche lo stesso Garibaldi: compie infatti 210 anni il sigaro Toscano, e come molte grandi invenzioni nacque per caso nell’agosto 1815.
Nella Manifattura di Firenze una partita di tabacco lasciata ad essiccare fu bagnata dalla pioggia. Si decise allora di produrre dei sigari economici da smerciare in loco, ma inaspettatamente fu un successo: l’acqua fece fermentare il tabacco dandogli un gusto del tutto nuovo. Era nato il sigaro toscano. Fumare però ha i suoi rischi per la salute, in cui è bene riflettere soprattutto oggi che è la Giornata mondiale senza tabacco.
Maurizio Costanzo – La Nazione, 31 maggio 2025
40 anni fa la strage dell’Heysel

«Non si può parlare di sport davanti a tutto questo…»: furono le parole pronunciate da uno sconvolto Bruno Pizzul in telecronaca diretta dallo stadio di Bruxelles. Sulle gradinate del vecchio Heysel il 29 maggio 1985 si consumò la più immane delle stragi. Prima della finale di Coppa dei Campioni fra Liverpool e Juventus, sotto la spinta degli hooligans persero la vita 39 persone: 32 di loro erano italiani così come la maggioranza degli oltre 600 feriti. Lo show andò avanti lo stesso, perché non si poteva fermare per “ragioni di sicurezza”. Così la Juventus, in un clima cimiteriale, vinse (1-0) e conquistò la sua prima Coppa dei Campioni. Ne Le gradinate dell’Heysel. Una morale per il calcio (Vydia Edizioni, pagine 105, euro 15,00), il belga Pol Vandromme sostiene che il calcio dopo quella «notte infetta» non sarebbe stato più stato lo stesso. Il campo di football, fino ad allora benedetto dagli dei del gioco come espressione di regole sane e condivise da nobili protagonisti, sul prato dell’Heysel cedeva definitivamente il passo dinanzi alla «Bestia insaziabile». Vandromme vede e prevede i segnali di una disfatta imminente e la fine della sacralità del calcio che sarà inondato da un diluvio finanziario, dove le azioni dei calciatori in campo saranno secondarie a quelle quotate in Borsa e la «Bestia insaziabile » passando dal piccolo schermo riuscirà ad entrare in ogni casa e a qualsiasi ora. Qui l’articolo di Massimiliano Castellani.
Avvenire – 29 maggio 2025
Una vita da “paciere”

Ha passato una vita facendo il paciere. Con l’Onu, con l’Ue, con le missioni internazionali. Lui c’era nel Cile di Pinochet e nella Cambogia dopo Pol Pot, a Sarajevo e a Nassiriya, a Kabul e in Kosovo. S’è visto morire fra le braccia soldati, funzionari, l’amico Sergio Vieira de Mello che faceva l’inviato Onu in Iraq e saltò per un camion-bomba. Sulla sua professione il più famoso peacekeeper italiano, Andrea Angeli (nella foto), 69 anni, maceratese,ha steso articoli e discorsi e libri. Uno dei pochissimi che facevano la differenza, dicevano di lui.
Nell’ultimo memoriale che ha scritto, però, Angeli è andato oltre. Non una resa, ma la consapevolezza d’un limite: quando nemmeno noi caschi blu bastiamo più – fa capire in Fede, ultima speranza (ed. Rubbettino) – ci restano solo i sai bianchi dei frati o le tonache nere delle suore. «Giuro che da buon mangiapreti – ammette Paolo Rumiz nell’introduzione – ai religiosi peacekeeper non avevo mai pensato. E invece ci sono. E non hanno niente in comune con quelli che benedicono i cannoni».
Che cosa fa un peacekeeper? A sentire Trump, che sta tagliando i fondi alle agenzie di pace neanche si trattasse di mangiapane a tradimento, poco o nulla. A guardar bene, tutto. Perché queste colombe della diplomazia sono un po’ come i preti: sui punti caldi del mondo, te ne accorgi se non ci sono. Proteggono le popolazioni inermi, promuovono i diritti umani, ricostruiscono gli Stati devastati dalle guerre. Negli ultimi 77 anni – da quando nacquero con l’Untso (United nations truce supervision organization) e il loro primo incarico nella catastrofe della Nakba, l’esodo di 700mila palestinesi da Israele – il peacekeeping è fiorito in 71 missioni, è tutt’ora attivo in sedici e in due di queste, Mali e Libano, impiega anche 1.103 soldati italiani. Molte sono state storie di successo: i Balcani e Cipro, il Salvador e Timor Est. Altre, un po’ meno: l’Afghanistan o il Kashmir. Tutte, complicate e sanguinose: dal 1948, giorno in cui l’Onu votò l’operazione Palestina, sono morti più di 3.400 pacificatori militari e civili.
Francesco Battistini – Corriere della Sera / Buone notizie, 26 maggio 2025
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